Regina Josè Galindo
Estoy viva
Il labile confine tra arte e vita. Regina José Galindo: Estoy viva
Quale apporto può dare l’arte al tema della violenza razziale o di genere, del crimine perpetrato, dell’abuso del potere e dell’ingiustizia sociale? È il corpo minuto e fragile dell’artista guatemalteca Regina José Galindo a dircelo, nella mostra Estoy viva.
Non è pura provocazione, non è semplice stimolo al pensiero critico, Estoy viva è un condensato di esperienze scioccanti, percezioni forti, una prova di sopportazione fisica alla quale, consapevolmente, l’artista si sottopone coinvolgendo l’anima sensibile del pubblico, in uno scambio simbiotico. Protagonista: il corpo, scorza protettiva di un mondo emotivo scosso, deturpato, violato.
Video, fotografie (performance proposte e vissute dall’artista stessa), disegni, tracce di “volontaria” tortura, opere distribuite in cinque sezioni tematiche – Politica, Donna, Violenza, Organico e Morte – (in una retrospettiva completa), ci conducono nel mondo cieco del sopruso dove la mente obnubilata può solo tentare di trattenere i pensieri, mentre il corpo subisce il trauma. L’impressione viva è che si tratti di un processo profondo e viscerale, molto più complesso del semplice atto dimostrativo.
L’artista ha immerso i piedi nel sangue lasciando tracce del suo sdegno per le strade del Guatemala (contro gli estenuanti conflitti e i genocidi), ha sedato il proprio fisico conducendolo verso esperienze liminali, lo ha sottoposto al ludibrio o allo sguardo irrispettoso della gente, ha accettato che le proprie membra venissero umiliate, torturate, immobilizzate… a costo di rischiarne l’incolumità. Ha impresso sulla propria pelle e più addentro, nella carne, il senso cruento, deflagrante, dei crimini contro l’umanità.
Nel visitatore che si addentra tra le immagini di Estoy viva, tutt’altro che aneddotica del male ma “esperienza sensibile” del dolore, rivivono i traumi del rimosso, sgorga la coscienza, esperita nell’emotività, di un’umiliazione collettiva: quella del “corpo sociale” violato nella sua dignità ed essenza. Il tutto a partire da una peculiare matrice storica – i sanguinosi conflitti in Guatemala (¿Quien Puede Borrar las Huellas? 2003) e una prospettiva machista entro la quale la donna, vittima di violenza e abusi, è valutata come perra, cagna – ma spingendo la riflessione verso le forme di prevaricazione che, altrove, passano sotto silenzio.
Numerosi i riconoscimenti per Regina José Galindo: tra questi, il Leone d’Oro (2005) alla 51° Biennale di Venezia come migliore artista under 35 «per aver saputo dare vita a un'azione coraggiosa contro il potere». E di vera sfida si tratta: rivendicazione di un’etica sociale attraverso la prossimità con la morte, all’interno di performance cariche di una valenza espiatoria, catartica, sacrificale. Una visione realistica e simbolica al tempo stesso che ricorda le opere dell’artista serba Marina Abramović (ma con una contestualizzazione ben precisa) o quelle del colombiano Rosenberg Sandoval.
Non esiste retorica o edulcorazione del dolore nelle performance di Regina José Galindo e l’arte si spinge più in là e più a fondo della semplice metafora. Il corpo nudo davanti alla platea dell’umanità, privato della sua effimera ma consolatoria bellezza, predato o pietrificato, racconta un dolore muto, inequivocabile, fino all’osmosi con la natura (di cui si possono vedere al PAC le espressioni nate dal sodalizio con l’artista Ana Mendieta), ben oltre il sentimento panico. È l’esperienza della terra-tomba, viatico verso la decomposizione.
Questo corpo che ci accompagna mentre percorriamo le diverse sezioni in cui si articola la mostra, alla fine del nostro itinerario ci aspetta di nuovo, nel video conclusivo, sul lettino di un’asettica sala operatoria, sotto luci di ghiaccio. Eppure qualcosa di salvifico e sotteso sembra accadere. Il ventre si muove piano, al ritmo del respiro, e il soffio vitale ci parla di una linfa profonda che non può essere negata. Qualcosa di simile è accaduto nel corso della performance Exhalación, realizzata in occasione dell’inaugurazione del 25 marzo al PAC: il fisico di Regina José Galindo ha reagito in modo inaspettato al sedativo somministrato non volendo cedere del tutto allo stato di morte apparente indotto. Il desiderio di estar viva ha prevalso?
Con questa domanda e molte altre nella testa, torniamo alla nostra quotidianità. Uguali a prima? Forse no.
Soy una perra,
Una perra enfierma,
El mondo mordiò mi corazón
Y me contagiò su rabia.
(Regina José Galindo)
Regina José Galindo
ESTOY VIVA
dal 25 Marzo 2014 all’8 Giugno 2014
PAC: Via Palestro, 14 – 20121 Milano
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