Usami: sarò la tua arte
Il regno della fantasia e del sogno accoglie gli oggetti usati, e un po’ logori, di cui la ragione vorrebbe sbarazzarsi. Il viaggio di oggi ci conduce tra le visioni e i mondi di Andrea Locci.
Legni bucherellati dai tarli o lavorati dalla natura, camere d’aria di vecchi veicoli, metalli colorati dalla ruggine... Nel caotico mondo dell'usa e getta, c'è chi nei materiali di scarto intravede vite nascoste, e lo fa da tempi non sospetti.
Oggi, era della green-art e dell’eco-riciclo (a tutti i costi!), scopriamo il percorso di un artista che, a partire dai primi anni novanta, su terreni italiani quasi inesplorati, ha incontrato e colto il volto segreto, o forse più d’uno, degli oggetti. Quelli comuni, provenienti dalla cucina, dalle officine, dai rifiuti delle discariche. Quelli plasmati dalla natura, raccolti lungo le rive dei fiumi o negli orti.
Sono una sintesi di antico e moderno le opere di Andrea Locci, artista nato e cresciuto a Busto Arsizio (VA) ma di origine toscana, che dal 2000 si è trasferito a Calci (PI) per trovare lo spazio, fisico e sociale, in cui creare. Una vecchia officina dismessa dal passato illustre, in cui un tempo si producevano esemplari ‘portamonete tacco’, è diventata la fucina in cui dare vita al sogno, senza limiti. Un luogo che brulica di presenze e tracce, perché i mondi di Andrea Locci accolgono, cercano il confronto, l’apporto creativo di chi sperimenta, intuisce il senso, tra l’arcano e il burlesco, dice la sua e ci mette mano.
E così, latte e arnesi da cucina assumono le sembianze di robot, camere d’aria svelano volti di divinità tribali, zucche fiabesche e noci di cocco forate si fanno lampade della notte, quella dei sogni e del "tutto è possibile". Ogni oggetto affronta il suo viaggio, reale e onirico, nel mondo. La destinazione sembrerebbe una città del futuro, tra grattacieli nati dagli scarti del presente, dove ogni rifiuto e frammento troverà la sua collocazione. Un mondo, quello di Andrea Locci, che richiama l’umorismo del ready-made dadaista, l’ironica creatività del Circo in miniatura di Alexander Calder, con qualche cenno alle avveniristiche macchine, nate dai rottami, dei Mutoidi punk e post-punk ma con un tocco di poesia in più.
Materiali lavorati con sapiente tecnica da artigiano vengono trasformati da un’ispirazione artistica burlona e straripante e, in molti casi, proiettati in un viaggio a ritroso nel tempo, sulle tracce del Mito: dal Golem all’arte delle civiltà precolombiane, fino alle suggestioni dell’animismo africano e del Dreamtime aborigeno.
Quella di Andrea Locci non è una semplice “estetica del riuso”, ma una sorta di narrazione spontanea: ogni opera ha in sé una storia, a tratti surreale a tratti fantascientifica, da raccontare. La contiene e la esprime come una necessità, insieme alle esperienze, ai colori e suoni dei quali s’è impregnata. C’è chi sostiene di aver sentito i robot parlare, quando il mondo tace, e le energie si sprigionano. Pare di sentire musiche antiche, quelle che Andrea Locci conosce bene perché negli anni ha esplorato, suonato e costruito gli strumenti arcaici: didgeridoo, launeddas, zanze, tamburi, bastoni della pioggia… voci di un’ispirazione primordiale che trasporta altrove… forse verso l’alba del mondo? Un’arte che si irradia nel territorio sviluppando collaborazioni: la più recente, con il GAR (Gruppo Arte e Artigianato Ribelle) che a Pisa, poco distante dalla Torre, ha recuperato l’area di un ex-colorificio per ospitare laboratori e momenti di creativa socialità.
Oggi, alcune opere sgusciate dal laboratorio Locci sono in viaggio verso il Nord Italia. Destinazione: Gorizia.
Dal 10 maggio saranno protagoniste dell’esposizione “Io, robot” organizzata da The Factory, progetto creativo, ispirato alla mitica Factory di Andy Warhol, dell’Associazione Young4Fun di Monfalcone (finanziato dal bando regionale “Giovani Creativi” con la partnership dell’Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Gorizia). Obiettivo: coinvolgere i giovani del Friuli Venezia Giulia in attività socio-culturali, attraverso l’incontro di linguaggi ed espressioni multiformi. Questo interessante contesto si animerà per otto giorni della bizzarra famiglia “Io, robot” con la proposta di un workshop di scultura contemporanea tenuto dallo stesso Andrea Locci.
Ma ora diamo voce all’artista:
«Recuperare e trasformare i materiali significa indagarne e svelarne la storia. Quando riutilizzi un ‘pezzo’, un frammento, non sempre sai con precisione da quale macchina o arnese provenga e, nel corso dell’esplorazione, del ‘gioco artistico’, puoi scoprirne l’arcano. Renderlo parte di un’opera significa suggerirne l’identità passata e dargli una vita futura.
Oltretutto, le creazioni nate da elementi preesistenti sono decisamente imprevedibili. Hanno una vita propria, sospesa tra l’antico e il moderno. Credo che i miei robot, in mia assenza, si divertano come matti: “Ruzzapalla”, di certo, se ne va sempre in giro per il laboratorio…
Progetti futuri? Mi piacerebbe fondere l’elemento sonoro con quello visivo, materico, utilizzando sempre elementi di recupero… In questo periodo, sto lavorando a un contrabbasso ricavato da un bidone dell’olio. Vorrei creare delle specie di Totem musicali, installazioni che invitino a essere ‘suonate’, sperimentate, anche dai bambini, come feci a Genova, qualche anno fa. A partire dalla pratica artigiana, si possono sviluppare percorsi d’arte, di gioco e conoscenza».
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