Se telefonando: Antonio Tabucchi e Isabella Staino
Se telefonando… Isabella e l’ombra.
Cosa succede quando un grande autore come Antonio Tabucchi, con il suo tocco intenso ed essenziale, immagina la vita creativa di una pittrice? E quelle parole, attraverso la linea di un telefono, vengono dettate all’artista stessa? Lo chiediamo, dieci anni dopo, alla protagonista del racconto: Isabella Staino.
Seguendo la bizzarra genesi di questa storia, la nostra intervista non può che svolgersi al telefono. Oggetto della chiacchierata: il prezioso libretto, Isabella e l’ombra, da poco edito per la casa editrice senese Vittoria Iguazu Editora: racconto inedito di Antonio Tabucchi, ideato e scritto nel 2003 e oggi illustrato da Isabella Staino. Tema: il mondo della stessa artista, di quella pittrice che l’autore, anima e penna cosmopolita ma di origini toscane, tratteggia da bambina, agli albori del suo percorso, immaginandola mentre pensa al mondo «per colori».
Ma quanto sono vicine realtà e immaginazione? Lo scopriremo solo… telefonando.
Isabella, che ricordo hai di Tabucchi?
Il primo è fugace. Risale al nostro incontro nel 2002, in occasione di una mostra presso il Carcere Don Bosco di Pisa. Esponevo, insieme a mio zio Sergio Staino, le illustrazioni realizzate per il Racconto di Natale di Adriano Sofri. Da quel momento, Tabucchi cominciò a interessarsi alle mie opere, non solo a quelle esposte. Scorrendo il mio catalogo, rimase colpito in particolare dalla “Scimmia nera” e da alcuni particolari della mia vita da pittrice. Il fatto che, in Garfagnana, io dipingessi dentro un fienile, credo gli abbia trasmesso una particolare suggestione…
…forse l’evocazione della campagna toscana e il ricordo delle sue origini vecchianesi… E così, nel 2003, Tabucchi crea la sua favola per te. E te la detta al telefono. In quante puntate?
Tabucchi mi chiamava da Parigi e mi diceva: «Trova un telefono fisso che ti detto una parte del racconto». Non usava la posta elettronica e la sua calligrafia, a quanto pare, era poco leggibile. Oggi, parlando con l'editore Riccardo Greco, che lo conobbe personalmente, vengo a sapere che questo genere di telefonate erano per lui un’abitudine.
Ogni volta, mi dettava qualche riga, io scrivevo e scoprivo, telefonata dopo telefonata, come in un racconto a puntate, cosa stava creando per me. La favola prendeva forma e io la trascrivevo. Quello che ne uscì fu un racconto, Isabella e l’ombra, che mi accompagna da anni, interpretato spesso dai lettori come una sorta di mia biografia, in realtà frutto della visione creativa dell’autore.
Nelle pagine di Tabucchi, l’arte è portatrice di valori universali. In “Isabella e l’ombra” l’autore tratteggia un lato della creatività che potrebbe realmente essere una chiave di lettura del tuo percorso: la capacità di «pensare per colori». Cosa c’è di vero e cos'è rimasto di Isabella bambina nella tua esperienza pittorica?
La situazione immaginata da Tabucchi, in realtà, mi rispecchia e quella bambina è presente in me e in ciò che faccio ogni giorno. Da piccola, dipingere fu per me la cosa più naturale, come respirare. Un atto istintivo che accompagna da sempre la mia quotidianità e che ha il peso dell'esistenza stessa. In seguito, gli studi servirono a tradurre l’arte in comunicazione ufficiale, ma non ricordo particolari trasformazioni, solo un’evoluzione spontanea, con il riscontro di chi mi invitò a proseguire sulla mia strada.
In Isabella e l’ombra, ripercorri la tua vita da pittrice e artista.
Com'è illustrare se stessi a partire dall'invenzione di un grande autore?
Una situazione molto particolare. Ti ritrovi a pensare:
come dipingo una storia che parla di me?
In che cosa mi riconosco? Anche in questo caso, ho seguito spontaneamente il racconto, a partire dall’immagine iniziale del volume dove la bambina spiega alla maestra qual è il suo pensiero, indicandolo nell’aria sotto forma di colore. Ne sono nate sei tavole (una non è presente nel libro): acrilici, olio e gesso su carta, con un effetto da “screpolatura e frammento di muro”.
Un’esperienza molto diversa dalle illustrazioni che hai realizzato per altri racconti e autori?
Questo è un particolarissimo gioco di rimandi. Negli altri casi, tradurre in immagini un racconto richiede una forte sintonia con il testo. L’approccio è molto vario, ma questo genere di opere scaturisce sempre da un innamoramento, una specie di folgorazione. È ciò che mi è capitato, per esempio, con i Racconti di Dino Buzzati: l’illustrazione mi è proprio scappata dalle mani, incontenibile.
Nel racconto di Tabucchi, la bambina fa un incontro speciale con la Terra d’ombra che rende i colori «più umili e più veri». Che posto ha l’ombra nei tuoi dipinti?
L’avverto come una necessità, perché completa l'opera. La metto nel momento finale e provo una particolare emozione e soddisfazione. L’immagine si compone in tutti gli aspetti, con quell’ombra che ho sempre accolto, nell’arte e non solo.
Mentre leggiamo parole e immagini del racconto Isabella e l’ombra, diamo l’appuntamento alla pittrice per il 30 ottobre all’Alcatraz di Milano, in occasione del Festival itinerante “Hai paura del buio?” con la partecipazione di numerosi artisti, tra musica, reading, performance, installazioni, video arte e magie dipinte.
Isabella ci racconta della grande emozione provata, nella tappa di Torino, quando aspettava di entrare nella sala che ospitava le sue opere, zeppa di gente, effetto concerto.
Lei, silenziosa spettatrice in incognito, mentre le sue opere parlavano al posto suo. Esattamente come i colori custodiscono e svelano emozioni e pensieri.
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